E perché dovresti farlo anche tu
Perché fotografo?
Bella domanda! È stato tutto molto spontaneo… almeno credo.
Ricordo bene come tutto è cominciato. A quei tempi, all’università di Bologna, a gestire il posto fino ad allora vacante della cattedra di protesi arrivò da Ferrara il professor Roberto Scotti con la sua equipe. Non tardarono a distinguersi per competenza professionale e rigore didattico.
Eravamo al nostro quarto anno di corso. Il percorso formativo era ben strutturato fra lezioni teoriche, dispense approfondite (i Syllabus) e frequenti ed intensi laboratori pratici.
Fra questi anche l’esercitazione di fotografia. Il tutor era un giovane laureato: il Dr. Giorgio Papale, che con la mitica Yashica Dental Eye a tracolla ci addestrava alla tecnica di ripresa. Grazie a lui familiarizzavamo con i primi rudimenti di teoria fotografica e scoprivamo l’importanza strategica della documentazione iconografica nell’iter diagnostico-terapeutico di qualsiasi trattamento odontoiatrico.
Fu poi con i primi corsi dopo la laurea che crebbe in me la convinzione che fotografare fosse un atto sostanziale per la nostra professione. Una doverosa raccolta di dati, indispensabile per stipulare quell’alleanza terapeutica, cosi essenziale per la proficua relazione col paziente. Un atto commisurato in qualche modo all’empatia.
Come recita un famoso proverbio indiano: “prima di giudicare un uomo, cammina per tre lune nei suoi mocassini”. Fotografare in fondo ci restituisce l’opportunità di osservare, studiare e quindi conoscere i nostri pazienti.
Se il mio atteggiamento alla fotografia dentale è diventato “professionale” lo devo infatti a due grandi maestri, per fortuna incontrati molto presto nel mio cammino post-universitario: il dr. Lorenzo Vanini e il dr. Samuele Valerio (se vuoi saperne di più). Erano quelli i tempi di una dimensione amatoriale della disciplina, molto tecnica e per questo altrettanto selettiva.
Di staffe per i flash commissionate a fabbri, di rullini…pellicole… quasi sempre Kodak, di diapositive, pile di carousel e proiettori.
Soprattutto di attesa. C’erano, infatti, i tempi per lo sviluppo delle pellicole…immutabili e inesorabili. Se avessi fatto una buona foto lo avresti imparato soltanto a cose fatte e se avevi sbagliato non ci sarebbe stata possibilità di redenzione.
Poi è arrivato il digitale. Una vera rivoluzione. La fotografia lentamente diventava smart… più accessibile, sicuramente più “comoda”.
Così, nel corso degli anni ho sentito crescere in me l’esigenza di migliorare la qualità della mia fotografia. Non mi bastava più interpretarla soltanto in chiave “documentale”. Desideravo che comunicasse qualcosa di me… che trasferisse in qualche modo un’emozione a chi la osservava.
Decisivo in questo orientamento è stato l’incontro a Siviglia con il dr. Silvestre Ripoll Cabo (Dental Photo Tricks), che oggi posso con orgoglio chiamare amico.
Grazie a lui ho imparato a ricercare nella foto il dettaglio perfetto… la giusta inquadratura, la giusta illuminazione… inseguire il difficile equilibrio fra estetica rosa ed estetica bianca.
A coltivare l’ambizione che anche la fotografia dentale potesse penetrare in profondità nell’interlocutore e ne catturasse la curiosità, totalizzando la sua attenzione.
Perché fotografo!
Ecco perché fotografo.
Per fermare il tempo, perché mi accorgo di esistere nello stesso momento in cui prendo nelle mani la fotocamera. Quel peso, la tensione dello sguardo dentro al mirino, il cuore che rallenta e il respiro che si ferma mentre col dito premo il pulsante di scatto.
È tutto molto delicato in fotografia, il tempo si dilata.
Fotografo per ritrovarmi nelle immagini, ripercorrere la mia storia, cercando di coglierci quello che mi manca.
Quando fotografo cristallizzo la fatica e la trasformo in gratificazione, perché la fotografia mi consente di misurare i miei passi, ricordare da dove sono partito, dove mi trovo e dove voglio andare.
Fotografo per rivedermi negli scatti, provando a scoprirci qualcosa di buono nonostante tutto.
Ho la chiara consapevolezza che il paziente non capisca cosa stia “armeggiando”, così come non tutti mostrano la curiosità di rivedersi nelle riprese. Anzi, vince maggiormente a volte il disgusto, altre l’imbarazzo, talora l’indifferenza.
Tuttavia comprendo che gli arriva l’impegno, la premura e l’attenzione che ci metto.
Respirano in sostanza la mia stessa passione e di questa passione risplendono anch’essi.
Non avranno fino in fondo realizzato cos’abbia “trafficato”, ma sanno per certo che ho fatto del mio meglio, sanno per certo che gli ho voluto bene. E questo basta. Ad entrambi.
Fotografo perché, così facendo, immagino di partecipare al tentativo di diventare migliore di come mi sento e di come mi vedo.
Fotografo perché un giorno potrò ricordare di aver amato il mio lavoro a tal punto da desiderare di preservarlo dallo sbiadire del tempo.
Fotografo per non dimenticare di aver amato i nostri pazienti…anche loro in qualche modo protagonisti del mio viaggio per immagini.
Fotografo soprattutto per non abbruttirmi, per non scivolare lentamente ed inesorabilmente nella mediocrità, nell’abitudine, nell’indifferenza.
Fotografo in definitiva per lasciare una traccia, il segno del nostro passaggio, del sogno di tre ragazzi che si sono conosciuti per caso all’università e che hanno tentato di trasformare quell’incontro in qualcosa di molto più grande.
Ci sono tante buone ragioni per abbracciare la fotografia di settore.
Dieci buoni motivi per fotografare*
- La fotocamera è uno strumento versatile, che può avere numerose e diverse applicazioni: dalla documentazione clinica alla comunicazione col paziente.
- Dialogo con i propri collaboratori: dalla comunicazione del colore con il laboratorio alla consulenze specialistiche (es. Patologia Orale).
- La fotografia è uno dei più potenti mezzi di ingrandimento.
- Fondamentale in odontoiatria estetica (ritratto del viso).
- Imparare dagli errori: la fotografia non mente e ti restituisce la verità del tuo lavoro. Nelle fotografie io ho sempre cercato non ciò che di buono avevo creato, quanto piuttosto ciò che avevo sbagliato o che potevo fare meglio. Si chiama ANALISI DEL DIFETTO ed è l’allenamento più prezioso che possiamo fare, perché in ogni nostro restauro ci consente di misurare il nostro limite, prendendone consapevolezza. Nel momento in cui questo avviene abbiamo la grande opportunità di non commetterlo più.
- Creare presentazioni coinvolgenti: una foto di buona qualità è un atto di cortesia nei confronti di chi ti sta ascoltando.
- Registrare e archiviare i risultati cinici del tuo lavoro.
- Educare, informare e chiarire al paziente la natura delle procedure e dei trattamenti proposti.
- Essere unici, creativi, differenti.
- Documentare il proprio lavoro è il miglio modo di tutelarsi nei confronti di azioni legali di rivalsa.
Nel nostro corso teorico-pratico condivideremo con te questi 10 motivi e ti insegneremo a realizzare in maniera ripetibile fotografie strabilianti.
*Gábor Matyasi- Dental Photography – April, 6, 2015